Le delicate poesie di Vittorio Bodini

 

La vita di Vittorio Bodini, poeta leccese

C’è stato un artista, un poeta contemporaneo, che meglio di chiunque altro è stato capace di raccontare in versi Lecce e il Salento in tutta la sua irresistibile bellezza, con tutte le sue imprescindibili contraddizioni.

Il suo nome è Vittorio Bodini.

Nato a Bari (ma da genitori salentini, come lui stesso teneva a precisare) nel 1914 e morto a Roma nel 1970, Bodini deve le sue maggiori fortune all’attività di traduttore.

Eppure gli sono bastate un centinaio di poesie per cogliere, immortalare al meglio come in delle istantanee, l’essenza del Salento: il suo sole, il suo mare, la sua gente; il suo fascino incantevole e la sua recondita malinconia.

Il meridione, così simile nei tempi lunghi che scorrono pesanti sotto il sole, alla cultura della Spagna.

Un passato che è presente nonostante i decenni trascorsi.

Un destino inevitabile di miseria nei suoi versi riecheggia e l’unica speranza può arrivare per Bodini, recuperando una religiosità bizantina e poi barocca.

Le sue poesie ermetiche in poche parole esprimono tutto: rabbia, presentimento, rancore, amore, leggende, ricordi.

Nel contempo ci regalano immagini nitide di quel sud tanto amato, mitico ma limitante, da cui evadere in una madre più grande: L’Europa.

“Pigro come una mezzaluna nel sole di maggio la tazza di caffè, le parole perdute … divento ulivo e ruota d’un lento carro, siepe di fichi d’India, terra amara dove cresce il tabacco.”

“La luna dei Borboni col suo viso sfregiato tornerà sulle case di tufo, sui balconi … e noi quieti fantasmi discorreremo dell’unità d’Italia”

Nella raccolta Barocco del Sud, scritta al suo ritorno a Lecce dopo l’esperienza in Spagna, abbiamo un vero e proprio reportage poetico della città di Lecce, se pur nella sua concretezza diventa metafora di una più generale condizione umana.

La città di Lecce è definita dall’autore come una donna «la cui memoria è così gelosamente esclusiva da farla sembrare ancora oggi una città del Seicento».

Lo stile barocco leccese ridondante di decorazioni, sculture, fregi sulle facciate dei monumenti creano un incessante ritmo tra vuoto e pieno, tra luce ed ombra che per Bodini rimanda al concetto più concreto della vita e della morte.

Una condizione dello spirito che sente il disperato senso del vuoto che cerca di colmare attraverso l’esteriorità con l’ostentazione decorativa.

E ancora: «Basta fermarcisi a vivere pochi giorni perché a poco a poco si faccia strada in noi un sospetto stranissimo, che essa non sia un luogo della geografia ma una condizione dell’anima, a cui s’arrivi solo casualmente, scivolando per una botola ignorata della coscienza».

Come sostiene l’autore c’è qualcosa di ignaro che richiama la coscienza a visitare il nostro Salento, sarà questo sangue meticcio che scorre nella sua cultura?

“Quando tornai al mio paese nel Sud, io mi sentivo morire”, scrive Bodini nella raccolta “Foglie di Tabacco

E sono sempre suoi i versi in cui questo grande poeta leccese e salentino si definisce come “un polpo sbattuto ancor vivo contro lo scoglio”.

Istantanee, dicevamo prima; frasi secche e liriche al tempo stesso che racchiudono in pochi, incisivi versi, tutta l’amara fierezza di essere salentini.

Figli di una terra d’Otranto splendida, bellissima,eppure incapace forse di amarsi come dovrebbe.

Come meriterebbe d’essere amata dai suoi stessi figli prima ancora che dai tanti turisti che, anno dopo anno, l’affollano appagati come innamorati corrisposti.