Ecco come mangiare i fichi d’india nelle campagne del Salento
In questo simpatico video nelle campagne salentine, con il sottofondo del canto delle cicale, un salentino mangia il fico d’india mostrando nel video su Youtube, come non pungersi e come gustare questo prelibato frutto.
Il Fico d’India è un salentino d’adozione, ma nato in Messico.
Dalla sua terra natale “fece fagotto” ai tempi delle scoperte geografiche, con ogni probabilità, approdando nelle zone più calde dell’area del Mediterraneo (secondo altri, invece, sarebbe giunto in Sicilia con i Saraceni).
Ad ogni modo, non stiamo parlando di un eroico conquistatore di terre, ma del fico d’india, un frutto che è stato certamente, al pari dei mitici viaggiatori, un grande protagonista della storia del Sud caldo e assolato.
La pianta dei fichi d’india è legata, senza ombra di dubbio, alle sue famose pale, per intenderci quei rami piatti e larghi che prendono origine dal fusto.
Lungo le pale, si dispongono le foglie, le gemme, le setole (più conosciute come spine), infine le infiorescenze che daranno i succosi frutti.
C’è da dire che la pianta del fico d’india non necessita di particolari cure: a chi desiderasse dedicarsi alla sua coltura, basti sapere che non si deve far altro che interrare in parte, a fine della stagione invernale, una pala con almeno due anni d’età.
Nelle campagne salentine queste piante costeggiano i muri a secco, lontano dagli alberi da frutto, dato che , essendo una pianta grassa, preleva dal terreno tutta l’acqua presente.
Insieme agli ulivi sono le piante che caratterizzano il paesaggio salentino.
Le pale, come in un recente passato, venivano conservate con i frutti appese sui muri delle cantine, per poterli mangiare anche durante l’inverno, la riserva d’acqua all’interno della pala faceva maturare lentamente i frutti colti ancora verdi.
Senza troppa fatica, dunque, verrà fuori il famoso fico d’india.
Ora si passa alla fase della raccolta, e non vi fate scoraggiare dalle spine, perché ci sono tanti metodi per aggirare il fastidioso ostacolo, come ad esempio utilizzare una busta di plastica (quella in cui è confezionata la pasta) a mo’ di guanto protettivo, oppure servirsi di altri “attrezzi del mestiere”, come la comune pinza da insalata o una piccola scopa per spazzare via gli aculei.
Forza, dai, perché ne varrà la pena, quando, tornati a casa, metterete i frutti in una vaschetta con dell’acqua, per sbarazzarsi di ogni residuo spinoso.
La buccia può essere gialla, bianca o rossa, ed al suo colore corrisponde esattamente quello della polpa.
Esistono varietà senza semi, senza spine, alcune di uso maggiormente ornamentale, altre di utilizzo alimentare.
Quanto alle proprietà, sono tutte benefiche, sia per l’ambiente (le siepi svolgono un’importante funzione di protezione del terreno) che per la persona: la ricerca, infatti, continua a metterne in evidenza il potere antiossidante, di prevenzione di molte malattie degenerative.
Ma il fico d’India vanta altre qualità, come insegna la storia della varietà salentina: il frutto “made in Messico”, infatti, era uno degli alimenti base dell’alimentazione, abbastanza povera, dei contadini, già oltre cinquecento anni fa.
Questo perché è ricco di zuccheri, vitamine, fosforo e calcio.
Ma cosa ci azzecca il fico d’india con la famosa, ormai a livello internazionale, cucina salentina di ieri e di oggi? Innanzitutto, occorre precisare che il fico d’india più diffuso nel Salento è quello con la buccia e polpa gialle.
Perciò, sarà la tinta paglierina a predominare nelle ricette della cucina salentina, forse poco conosciute, ma che danno un tocco di originalità al già apprezzato menù di questo angolo della Puglia.