L’arte dell’allevamento delle api nel Salento, è antichissima, secondo molti studiosi vi sono segni tangibili della presenza di questa pratica già durante l’epoca messapica, proseguendo poi in epoca greca e romana.
Ha successivamente vissuto una vera e propria età dell’oro tra il XVI e XVII secolo, epoche tormentate per la storia del Salento, ma molto feconde per l’apicoltura locale.
Nelle nostre campagne, a testimonianza di questa tradizione secolare, esistono diversi manufatti, misteriosi per molte persone, gli apàri, loculi di tipo rustico utilizzati per l’allevamento delle api.
Un insieme alveari di pietra, posizionanti nello stesso sito, le così dette “arnie villiche”.
L’apàrio salentino era costituito da blocchi di pietra tufacea a forma di parallelepipedo, cavi all’interno.
Una delle due facce minori, solitamente quadrate, era chiusa ma presentava alcuni forellini che permettevano il passaggio delle api.
Dall’altra parte, invece, l’arnia a veniva chiusa con un tappo in pietra, chiamato “chiancareddha”, sigillata con della calce e terra.
Durante il periodo della raccolta, che secondo la tradizione doveva avvenire dopo la festa di Sant’Anna, l’apicoltore toglieva il tappo e “tagliava” i favi.
Bisognava aver cura di preservarne una parte, di cui le api ne avevano bisogno per poter vivere e continuare la produzione.

L’arte del rispetto della natura
Bisogna arrivare ai primi decenni del 1800 per cominciare a parlare di apicoltura razionale attraverso l’ideazione di arnie in legno e favi mobili e all’invenzione dello smielatore attraverso il quale il miele viene estratto per centrifugazione dai favi, che rimanendo intatti, possono essere riconsegnati alle api nella stagione successiva.
A testimonianza di questo grande legame, vi sono i vari toponimi dei paesi come Melissano e Melendugno, i quali portano il miele direttamente nei loro nomi. Gerolamo Marcianò scriveva, riferendosi proprio a Melendugno: “Questa città è chiamata così per il miele che v’è prodotto e che è migliore di quello dell’Attica, di Iblea e del Monte Imetto.
Era celebrato dai vecchi perché il paese abbonda di timo, rosmarino ed altre piante odorifere.
Il suo emblema è rappresentato da un “Pinus selvaticus” che porta sul suo tronco un favo di miele.”.
A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, Melendugno era la maggior produttrice di miele del Salento, produzione che fu interrotta nel secondo dopoguerra ma egregiamente ripresa negli ultimi anni, guadagnandosi l’appellativo di Città del Miele.
Oggi fa parte della “Rete del miele” che comprende i territori che danno origine e identità ai mieli italiani.
La Rete organizza itinerari intorno al “dolce nettare”, alla scoperta di territori, culture, tradizioni, profumi e sapori.
Rientrando in questo circuito con la sua lunga tradizione apistica, ha ospitato per ben due anni l’ambito concorso nazionale “Tre gocce d’oro”, con ospiti del panorama mielistico regionale e nazionale.
E dal 2022 il Comune, in collaborazione con l’Associazione apicoltori Melendugno e Borgagne, promuove Le vie del Miele, un percorso dolcissimo che si snoda lungo le vie del centro storico, per scoprire i segreti del miele e lasciarsi affascinare dalla tradizione e dalla cultura locale.
Arrivando a Melendugno, si possono visitare le torri costiere della costa adriatica, e qui di seguito trovate anche un video in cui Licia Colò vi porta alla scoperta della città di Melendugno.
Foto: apàri nelle campagne di Melendugno, di Emanuele Pantaleo
Pagina apicoltori di Melendugno e Borgagne
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Si ringrazia Antonio D’Ostuni per la pubblicazione dell’articolo