Il 13 agosto di ogni anno, Otranto ricorda con una grande e suggestiva celebrazione i suoi Eroi e gli 800 beati Martiri del 1480.
Il grande significato di tale celebrazione è da ricercarsi nella storia, facendo esattamente un salto indietro nel tempo alla prima metà del 1400, quando Maometto II, uomo abile e crudele, iniziò un progetto volto alla realizzazione di un grande Impero Ottomano.
La storia degli 800 Santi Martiri otrantini, e la battaglia di Otranto
La storia di Otranto e dei suoi abitanti è indissolubilmente limitata agli eventi che l’hanno resa celebre nel mondo nel XII secolo.
L’invasione turca cominciò il 28 luglio 1480, in seguito a vicende politiche che portarono Venezia a dare il consenso agli Ottomani di invadere il Regno di Calabria tentando così di allontanare dalla Toscana Alfonso d’Aragona, belligerante alle porte di Firenze, alleata della serenissima Repubblica di Venezia.
Ed in effetti quel giorno le Galee della Serenissima, come di consuetudine appostate nel Canale di Otranto, fecero largo alle 140 navi turche, partite da Valona, senza opporre alcuna resistenza.
Perché scelsero Otranto?
Alcuni storici pensano che le navi invasori fossero dirette a Brindisi, forse perché erano timorosi di trovare una tenace resistenza, o perché venti contrari avevano fatto perdere loro la rotta, dirigendole verso Otranto, o forse ancora perché volevano veramente Otranto, pensando di trovare un facile approdo, trovando solo pochissimi difensori.
Le navi furono avvistate dalle vedette della città e gettarono le ancore a nord di Otranto, nei pressi di Roca vecchia, e poi a sud, su una ben nota spiaggia ancora chiamata “Baia dei Turchi“.
Il comandante turco Achmet Pascià, inviò un interprete alle porte di Otranto, imponendo la resa incondizionata.
La risposta della cittadina fu un terribile sgarbo a coloro che nel 1457 avevano smantellato l’Impero bizantino, l’ultimo baluardo cristiano contro l’islam: il capitano Francesco Zurlo di Napoli rispose che dietro le mura a difendere Otranto avrebbero trovato i petti dei cittadini.
Con lui il capitano Giovanni Antonio Delli Falconi di Firenze e 400 soldati provinciali.
I Turchi diedero agli otrantini un altro ultimatum, in quanto Otranto era solo un punto di approdo e non avevano intenzione di sprecare tempo, munizioni e provvigioni per una piccola città, pensando anche ai regni che li attendevano più avanti.
Ancora una volta le minacce si abbatterono contro la ferrea volontà idruntina, causa scatenante della furia ottomana sotto forma di palle di pietra, lanciate da catapulte.
Quelle bombarde che sibilarono sopra e attraverso le mura, ancora oggi si vedono per le vie del centro, spessoa decoro di abitazioni.
L’attacco durò ininterrottamente 3 giorni e 3 notti e resero le mura un ammasso di macerie fumanti.
I 400 fanti inviati dal governatore della Terra d’Otranto, Francesco De Arenis, terrorizzati dai diciottomila saraceni, fuggirono un po’ alla volta, nascondendosi di giorno e fuggendo nottetempo codardamente, lasciando il destino della città nelle mani dei suoi abitanti.
L’esercito che il Re di Napoli stava preparando non sarebbe mai arrivato in tempo.
Le mura e i suoi abitanti, circa seimila, come da fonti dell’epoca, resistettero fino all’ 11 agosto, quando, si aprì una breccia abbastanza grossa per assalire la città, e dappertutto per le strade si ammassarono i corpi.
I turchi trucidarono chiunque incontrassero per le strade e per le case.
I muri delle città si imbrattarono di sangue, i corpi di chi cadeva furono calpestati da furia e paura, le case furono saccheggiate e bruciate, le donne violentate e rese schiave o uccise, e non fecero distinzioni d’età o sesso, ovunque il trionfo della strage echeggiò in lamenti, in grida strazianti, in pianti.
Un terrore senza fine serpeggiò per i vicoli del centro nei quali passeggiamo, incuranti dell’assurdo dolore di cui essi furono testimoni.
La gente scampata allo sterminio riparò in Cattedrale, gremendo ogni sorta di spazio sia sopra che in cripta.
Ma anche qui, sfondati i portoni, entrarono con i cavalli, schiacciando i rifugiati e squarciando i cristiani con le scimitarre a destra e manca, fino ad arrivare sull’altare, dove l’arcivescovo Stefano Pendinelli stava celebrando Messa.
Egli intimò agli invasori di fermarsi, ma lo decapitarono sull’altare; la strage, che era continuata indisturbata anche in cripta, solo allora cessò.
Sgombrata da decine di centinaia di cadaveri, la Cattedrale, profanata orrendamente, fu trasformata in una moschea.
Otranto era un ammasso di macerie e morti.
Nel sinistro silenzio di quei giorni, un’atmosfera di morte governò la città, per tredici giorni gli abitanti di Otranto resistettero all’assalto, minando seriamente le speranze di conquista di Achmet Pascià.
Egli comprese che un pugno d’eroici cittadini aveva per sempre rovinato i suoi piani.
Decise così di vendicarsi di Otranto, lasciando ai superstiti una memoria eterna del loro peccato, una macchia che avrebbe dipinto per sempre sulla coscienza, perché tutti loro sarebbero dovuti morire.
Il 12 agosto Otranto era irriconoscibile.
Il rosso colorava le strade, i corpi di uomini, donne, vecchi e bambini, a cui quel sangue era appartenuto, ostacolavano il passaggio ai sopravvissuti e al nemico usurpatore.
Achmet Pascià partorì la sua vendetta: il 13 agosto ordinò che tutti gli uomini validi, da 15 anni in su, fossero condotti in sua presenza.
Gli uomini avrebbero avuto salva la vita se avessero rinnegato la fede in Cristo e si fossero convertiti all’Islam.
Antonio Primaldo
Il più vicino al Pascià “Antonio Pezzulla” chiamato “Il Primaldo“, parlò per tutti:
“Noi crediamo in Gesù Cristo e per lui siamo pronti a morire”.
Domenica 14 agosto, dopo solo 3 giorni dallo sterminio, si compì la nuova strage:
ottocento uomini furono condotti in catene e seminudi, in gruppi di cinquanta, sulla collina denominata “Minerva”, in un corteo di morte, tra le grida delle donne, degli anziani, dei bambini e dei parenti tutti che costeggiavano la macabra processione.
Una targhetta di legno con una scritta in caratteri arabi, incitava gli ottocento a salvarsi convertendosi presso il turco che la portava.
Qualcun altro riuscì anche a divincolarsi e a fuggire spaventato, ma non fu mai più rivisto.
Il primo ad essere decapitato fu il Primaldo:
la leggenda dice che la sua testa rotolò via e il resto del suo corpo, invece, rimase in piedi, e così rimase, finché l’ultimo degli ottocento non fu decapitato, nonostante gli estenuanti sforzi dei turchi di buttarlo giù, servendosi anche di corde.
Quando l’ultimo fu decapitato, solo allora il corpo di Primaldo cadde senza vita per terra.
Alla vista di quel prodigio, uno dei boia, in seguito conosciuto con il nome di Berlabei, si convertì al Cristianesimo e sostenne coraggioso l’impalazione.
I pianti e le urla degli spettatori inermi di quella carneficina erano le sole voci che riecheggiarono sul colle.
Diversi testimoni oculari riferirono il prodigio di Antonio Primaldo, che restò in piedi dopo la decapitazione, e inoltre la conversione e il martirio del boia.
Ecco le parole di Antonio Primaldo, secondo la fonte “Historia della guerra di Otranto del 1480, pubblicata nel 1924
Voltatosi ai cristiani egli disse queste parole:
“Fratelli miei, sino oggi abbiamo combattuto per defensione della patria e per salvar la vita e per li signori nostri temporali,
ora è tempo che combattiamo per salvar l’anime nostre per il nostro Signore, quale essendo morto per noi in croce conviene che noi moriamo per esso, stando saldi e costanti nella fede e con questa morte temporale guadagneremo la vita eterna e la gloria del martirio”.
A queste parole incominciarono a gridare tutti i martiri trucidati sul colle della minerva, e rimasti in seguito senza nome
“che più tosto volevano mille volte morire con qual si voglia sorta di morte che di rinnegar Cristo”.
Morirono 813 martiri, e con loro anche si ricorda in particolare la figura di Macario Nachira, monaco basiliano di Uggiano la Chiesa.
La spedizione per liberare Otranto, e l‘arrivo dell’esercito cristiano
Nell’arco di un anno si radunarono intorno ai confini di Otranto ventimila soldati e tremilacinquecento cavalieri, che attendevano pazienti il momento migliore per vendicare i fratelli di Otranto.
I turchi avevano ricostruito le mura e le avevano rafforzate.
Avevano disboscato per km i confini di Otranto per eliminare eventuali ripari del nemico e si erano impadroniti dell’abbazia di San Nicola di Casole, una delle biblioteche più importanti in Europa dell’epoca, riducendola ad un mattatoio per le carni.
Periodicamente le loro navi portavano schiavi otrantini nel loro paese e tornavano cariche di armi, di munizioni e di rinforzi.
Le spoglie senza testa dei martiri erano rimaste li e furono ritrovate miracolosamente incorrotte 13 mesi dopo dall’esercito liberatore di Alfonso II d’Aragona sul colle, che da quel momento prese il nome di Colle dei Martiri.
A quale brutale spettacolo dovettero assistere i liberatori e quale strazio può aver portato la vicenda negli animi di chi aveva un parente, un amico?
Quanto è stata forte la fede di chi si è sacrificato prima e di chi è sopravvissuto?
Forse nessuna città può vantarsi di 800 Santi, inseriti in una storia così straordinariamente triste, ma infinitamente bella.
Quando Maometto II morì, i turchi che si accamparono a Otranto, furono abbandonati dalla loro patria, perché i figli dell’imperatore erano troppo impegnati a lottare per la successione.
Era il momento migliore per liberare la città la città., ma i turchi anticiparono la mossa e mandarono e mandarono un messaggero, damaschino, a ufficializzare la resa.
Fu una delusione per Alfonso che desiderava una vittoria militare eclatante, ma accettata dai capitani perché non volevano ineluttabili perdite umane.
Era il 2 settembre 1491.
L’8 settembre Alfonso firmò la resa:
Otranto tornava ad essere libera, pagando un prezzo altissimo, ma salvando l’intera Europa e la sua storia dall’oscura ombra ottomana.
Le reliquie degli 800 martiri otrantini
I resti delle ossa degli 800 martiri otrantini si trovano ai giorni nostri nella cattedrale di Otranto, mentre parte delle reliquie di Antonio Primaldo sono state trasferite a Surano, piccolo comune del basso Salento, dove il 14 15 e 16 agosto si festeggiano insieme a San Rocco e Madonna Assunta, i Santi Patroni del paese.
Primaldo era abitante del paesino di Surano, in provincia di Lecce.
Le Reliquie dei Martiri di Otranto, oltre ad conservate nella Cattedrale della Città, si possono osservare anche nella Chiesa di Santa Maria dei Martiri, che si trova sul Colle della Minerva, luogo teatro del martirio degli ottocento otrantini, avvenuto il 14 agosto 1480.
Ogni anno il 14 agosto tutto il Salento rende onore ai suoi beati, durante la festa patronale dei Santi Martiri di Otranto, dove fedeli e turisti partecipano alle celebrazioni con i caratteristici fuochi d’artificio.
I Martiri di Otranto diventano “Santi”
Un processo canonico iniziato nel 1539, terminò il 14 dicembre 1771, nel momento in cui Papa Clemente XIV dichiarò beati gli 800 martiri otrantini, che furono letteralmente decapitati sul colle della Minerva.
Da allora essi sono i protettori di Otranto, e Papa Benedetto XVI, il 6 luglio 2007, ha emanato un decreto in cui riconosce l’uccisione di Antonio Primaldo e dei martiri otrantini, come Beati, in quanto uccisi “in odio alla fede”.
Il 20 dicembre 2012 Papa Benedetto XVI, ha autorizzato la Congregazione a promulgare il Decreto riguardante il miracolo della guarigione della suora Francesca Levote, attribuito all’intercessione dei beati Antonio Primaldo e gli 800 compagni martiri.
Papa Francesco il 12 maggio 2013, proclama SANTI, Antonio Primaldo e compagni martiri, conosciuti anche semplicemente come Martiri di Otranto, gli 800 martiri di Otranto.
il Film documentario della Storia degli 800 Beati Martiri otrantini
Video 1° parte
Video 2° parte
Video 3° parte
Video 4° e ultima parte
Documentario sugli 800 martiri idruntini, e la battaglia di Otranto